XX Triennale, Milano, 2001
P. Rizzatto
Riunisci pure trenta raggi in una ruota, è il foro all’interno del mozzo che la renderà utile. (Lao Tse)
Le parole con le quali Lao Tse, duemila e cinquecento anni fa ci descrive la ruota (simili a quelle che con cui descrive il vaso, che anch’esso trova il suo fine nel vuoto che le pareti racchiudono) aprono alla nostra immaginazione infinite suggestioni.
Il vuoto in cui scorrerà l’asse rappresenta una intuizione, un salto logico, che se oggi percepiamo come “naturale” ha invece impiegato migliaia di anni per essere scoperto; non solo, popoli di grande civiltà, come i Fenici o gli Amerindi precolombiani si dice non abbiano mai raggiunto.
Dove, come e da chi sarà venuta l’intuizione?
Sono domande senza risposta se si ricercano certezze di cronaca banale. Le risposte si trovano solo nel pensiero, nel dipanarsi di una componente del processo creativo che sembra quasi magica.
Un pensiero, un’astratta aconcezione, improvvisamente si fa materia, invenzione e funziona.
La storia dell’uomo, la sua storia tecnica e il concetto ormai affermato di progresso passa proprio attraverso questa “utilità della non esistenza”, sempre per usare le parole di Lao Tse, che il gesto creativo trasforma in cosa fisica attraverso la trasformazione di oggetti comuni dell’intorno che sono sempre esistiti.
La ruota dunque può, in questo modo, attraverso i suoi molteplici usi che vanno dal tornio, al mulino, all’asse del motore, ai moderni mezzi di locomozione, essere una grande metafora del progresso; un ponte proietta l’uomo quasi irriconoscibile della prima intuizione verso il futuro.